Immobilizzazione Spinale

L’Evidence Based Medicine nell’immobilizzazione spinale sul territorio

Pubblicato su N&A n. 179 di settembre 2007

Autori

Federico Emiliano Ghio
Simone Della Torre
Fabio Salvatore Lionti

Introduzione

La scelta del presidio per l’immobilizzazione spinale sul territorio, è da anni argomento di discussione. In Italia, gli strumenti maggiormente diffusi per l’immobilizzazione ed il trasporto di pazienti traumatizzati (e non) sono rappresentati da tavola spinale e materassino a depressione. Inoltre, in tempi più recenti, alcuni produttori hanno introdotto sul mercato varianti della vecchia barella a cucchiaio in grado di assicurare performance equivalenti o migliori rispetto alla tradizionale tavola spinale (in letteratura è stato individuato un lavoro di Krell et coll., che dimostra come la barella atraumatica Ferno Scoop EXL-65 -quando dotata di apposito sistema per l’assicurazione del capo- sia superiore in termini di posizionamento, comfort e immobilizzazione quando comparata alla tavola rigida).
La scelta di una tecnica di protezione spinale risulta essere influenzata da numerosi fattori:

  • Efficacia nell’immobilizzazione
  • Condizioni cliniche del paziente
  • Contesto logistico
  • Praticità e rapidità di posizionamento e rimozione
  • Radiotrasparenza
  • Gestione all’interno del Dipartimento di Emergenza ed Accettazione (DEA)

Altri fattori, come ad esempio il comfort del paziente e la capacità dello strumento di favorire l’analgesia, sono spesso posti in secondo piano.

 

Obbiettivo

Individuare in letteratura evidenze scientifiche in grado di indirizzare gli operatori nella scelta del presidio più idoneo per l’immobilizzazione spinale, sia in contesto preospedaliero che all’interno del DEA.

 

Metodi

Revisione della letteratura scientifica utilizzando le banche dati “The Cochrane Central Register of Controlled Trials” ed “Embase.com”. E’ stata adottata la classificazione delle evidenze proposta dal “The Joanna Briggs Institute for Evidence Based Nursing and Midwifery”:

  • Categoria IA : Implementazione fortemente raccomandata; raccomandazione supportata da studi sperimentali, clinici o epidemiologici ben disegnati
  • Categoria IB: Implementazione fortemente raccomandata; raccomandazione supportata da alcuni studi sperimentali, clinici o epidemiologici. Forte razionale teorico- Categoria II: Implementazione suggerita; raccomandazione supportata da studi clinici od epidemiologici suggestivi o da razionale teorico
  • Mancanza di raccomandazioni, problema irrisolto: Pratiche per le quali esistono insufficienti evidenze o non esistono sufficienti consensi

Findings

Sono stati individuati ed analizzati 9 lavori inerenti l’argomento trattato.

Discussione

Il primo fattore dirimente nella scelta del presidio per l’immobilizzazione, è sicuramente rappresentato dalla sua efficacia; nella realtà italiana, esistono attualmente due scuole di pensiero, una che sostiene l’utilizzo estensivo della tavola spinale, ed una seconda che raccomanda invece l’impiego del materassino a depressione. Le indicazioni all’utilizzo di uno o l’altro strumento, vengono impartite a livello locale dalla Centrale Operativa di riferimento piuttosto che dal Gruppo Formazione di ogni singola organizzazione di soccorso.
In realtà, esistono precise indicazioni all’utilizzo di uno o dell’altro presidio: mentre la spinale è raccomandata per l’evacuazione ed il trasporto di pazienti in condizioni logistiche particolarmente sfavorevoli come ad esempio per l’estricazione in abbinamento ai sistemi tipo KED o nei casi in cui si renda necessaria la pronosupinazione, il materasso a depressione dovrebbe essere preso in considerazione ogniqualvolta, in un contesto clinico e logistico favorevole, si debba trasportare un paziente traumatizzato. In base ai lavori analizzati, esiste infatti ampio consenso circa il fatto che il “vacuum mattress” sia migliore nell’assicurare l’immobilizzazione spinale ed il comfort rispetto alla tavola rigida.
Benché il comfort risulti spesso un fattore secondario nella scelta del sistema di immobilizzazione (sia per i soccorritori volontari che per il personale sanitario), corre l’obbligo di ricordare come la presenza di dolore, ansia e discomfort sia in grado di agire significativamente sulle condizioni cliniche del paziente. La presenza di questi agenti, può infatti indurre un aumentato consumo di ossigeno a fronte di una peggiorata performance respiratoria, indurre ipertono adrenergico con conseguenze sull’assetto emodinamico e respiratorio, nonché aumentare la pressione intracranica in caso di pazienti con lesioni cerebrali.
Va sottolineato come queste complicanze insorgano come conseguenza al posizionamento del paziente su presidi poco confortevoli, a prescindere dalla patologia di base.
Totten et al., hanno in effetti dimostrato come in volontari sani, si assista ad un decremento di circa il 15% della FEV1 basale dopo posizionamento su tavola spinale e materasso a depressione. Tale alterazione, oltre ad indurre un aumento del lavoro respiratorio, influenza negativamente gli scambi gassosi e conduce alla formazione di aree atelectasiche (zone polmonari perfuse ma non ventilate). Tale complicanza è stata segnalata come leggermente più significativa utilizzando l’abbinamento materasso a depressione e collare cervicale. Nonostante ciò, gran parte della popolazione arruolata per questo studio ha segnalato come maggiormente confortevole il materassino a depressione rispetto alla tavola spinale.
Il danno ischemico condizionato dai sistemi di immobilizzazione, dovrebbe costituire un altro elemento da considerare nella scelta del presidio: durante permanenza sulla tavola rigida, si assiste infatti ad una riduzione del circolo locale nei tessuti che più appoggiano sul piano. Benché non sia chiaro se ciò sia in grado di provocare un considerevole aumento di lattati per i tempi pre ed intraospedalieri, è evidente che il dolore da ischemia e la prolungata permanenza sui sistemi di immobilizzazione può produrre dolore ischemico che si protrae per numerose ore a distanza dall’evento (si veda il lavoro di Hauswald M et coll. per ulteriori approfondimenti).
In relazione a quanto sopra affermato, Bambi e Becattini eseguirono una revisione della letteratura scientifica che sottolineò come i tempi di stazionamento sulla tavola spinale in DEA non dovrebbero essere superiori alle 2 ore dal momento del trauma, pena l’instaurarsi di complicanze clinicamente rilevanti.
La gestione dei sistemi per l’immobilizzazione all’interno del DEA rappresenta un ulteriore elemento di criticità: ancora troppo spesso, per molteplici problemi organizzativi e culturali, i pazienti traumatizzati condotti in ospedale, vengono mobilizzati con metodi tutt’altro che rivolti alla tutela del rachide vertebrale. In alcune realtà ospedaliere americane, la movimentazione del paziente viene normata da apposite procedure interne, volte anche a ridurre i tempi di permanenza del paziente sui presidi utilizzati in ambito preospedaliero.
Talvolta, lasciare il paziente sulla tavola spinale, rappresenta un provvedimento che vorrebbe essere rivolto ad evitare ulteriori lesioni prima che sia terminata la diagnostica: in realtà, diventano proprio questi i casi dove gli effetti di un’immobilizzazione prolungata si estrinsecano in maniera più evidente e clinicamente rilevabile.
Per quanto concerne la compatibilità di entrambi i sistemi per l’esecuzione di indagini diagnostiche per immagini, chi si occupa del materiale sanitario dovrebbe sincerarsi che i presidi in possesso siano RX compatibili.
La maneggevolezza e la rapidità di utilizzo degli strumenti, condizionano pesantemente la scelta del sistema. La tavola spinale viene comunemente ritenuta più veloce e facile da posizionare: tale affermazione deve ritenersi vera solo in particolari contesti operativi, esaminati in precedenza.
In “Comparison of a vacuum splint device to a rigid backboard for spinal immobilization”, Johnson e collaboratori dimostrano come il posizionamento del materassino a depressione da parte di personale addestrato avvenga in tempi più brevi rispetto alla tavola spinale.
Quasi sicuramente, un utilizzo più estensivo del materassino a depressione, sarebbe associato ad un’aumentata manualità da parte degli operatori, con tempi di posizionamento più rapidi.
In ultimo, è da segnalare che benché la spinale rappresenti sicuramente un mezzo in grado di migliorare le performance durante massaggio cardiaco esterno, l’esecuzione di compressioni toraciche su materassino a depressione posto su un piano rigido (suolo, spinale) non influenza negativamente la qualità delle compressioni toraciche esterne. Di ciò dovrebbe essere tenuto conto quando si intende trasportare con materasso a depressione un paziente ad elevato rischio evolutivo.

Conclusioni

L’evidenza scientifica dimostra come il materassino a depressione sia superiore -quando comparato alla tavola rigida- sia nell’immobilizzazione spinale che nell’assicurare comfort al paziente, riducendo così le complicanze legate a tale pratica.
La tavola spinale dovrebbe essere utilizzata sono ed esclusivamente quando ricorrano precise indicazioni al suo utilizzo.
La capacità del materassino a depressione di assorbire le vibrazioni, di rispettare la fisiologia delle curve del rachide cervicale, di contenere e proteggere il paziente su più lati, fanno di questo presidio uno strumento che dovrebbe essere utilizzato anche per l’evacuazione di alcune categorie di pazienti medici e durante il trasporto secondario di pazienti critici. Sarebbe quindi utile implementare l’utilizzo del materasso a depressione nella gestione del paziente traumatizzato sul territorio (Categoria IA).
I sanitari che prestano la loro opera in ambito territoriale ed ospedaliero, dovrebbero elaborare appositi algoritmi basati sull’evidenza scientifica finalizzati a ridurre i tempi di stazionamento del paziente sulla tavola spinale all’interno del DEA, nonché incoraggiare l’utilizzo del materassino a depressione sul territorio (Categoria IB).

Conflitto di interessi

Nessuno

Bibliografia

Krell JM, McCoy MS, Sparto PJ, Fisher GL, Stoy WA, Holster DP “Comparison of the Ferno Scoop Stretcher with the long backboard for spinal immobilization” Prehosp Emerg Care, 2006:10(1);46-51

Johnson DR, Hauswald M, Stockhoff C “Comparison of a vacuum split device to a rigid backboard for spinal immobilization” The American J of Emerg Med, 1996:14;369-72

Hamilton RS, Pens PT “The efficacy of full-body vacuum splints for cervical-spine immobilization” J of Emerg Med, 1996:14(5);553-559

Luscombe MD, Williams JL “Comparison of a long spinal board and vacuum mattress for spinal immobilisation” Emerg Med J, 2003:20(5);476-78

Auswald M, Hsu M, Stockoff C “Maximizing comfort and minimizing ischemia: a comparison of four methods of spinal immobilization” Prehosp Emerg Care, 2000:4(3);250-52

Totten VY, Sugarman DB “Respiratory effects of spinal immobilization” Prehosp Emerg Care, 1999:3(4);347-52

Kwan I, Bunn F “Effects of prehospital spinal immobilization: a systematic review of randomized trials on healty subjects” Prehosp Disast Med, 2005:20(1);47-53

Bambi S, Becattini G “Utilizzo degli immobilizzatori della colonna vertebrale nel traumatizzato in dipartimento nel dipartimento di emergenza: revisione della letteratura” Assist Inferm Ric, 2003:1;5-12

Yeung JHH, Cheung NK, Graham CA, Rainer TH “Reduced time on the spinal board – Effects of giudelines and education for emergency department staff” Injury, 2006:37(1);53-56

Perkins GD, Benny R, Giles S, Gao F, Tweed MJ “Do different mattress affect the quality of cardiopulmonary resuscitation ?” Int Care Med, 2003:29(12);2330-5